Formazione

Nel piatto della fao non c’è solo cattivo cibo

Fame. Il bilancio di una grande esperta dopo il vertice di Roma

di Redazione

Ha deluso il Summit della Fao, previsto da lunga data, che ha raccolto qualcosa come 180 nazioni a Roma. Ha prevalso la difesa degli interessi a breve termine: soppressione delle sovvenzioni per gli uni, difesa dei biocarburanti per gli altri. Ma una sola riunione non poteva dare risposte a sfide bellamente ignorate dalla maggior parte dei Paesi e delle istituzioni finanziarie internazionali. Un aspetto positivo, però, c?è: tutti a Roma hanno riconosciuto che l?agricoltura è una cosa troppo seria per essere regolata unicamente a colpi di miliardi di euro di aiuti alimentari.

Nel frattempo, il solo risultato concreto che sia giunto dal Summit è la promessa dei grandi donatori, come la Banca mondiale, gli Stati Uniti, la Banca islamica di sviluppo o l?Unione europea, di sborsare più di sei miliardi di euro per soccorrere quella trentina di Paesi che sono stati i più toccati dal rialzo dei prezzi alimentari. Ma, come ha notato a Roma il commissario europeo allo Sviluppo, Louis Michel, «questo aiuto d?urgenza deve essere limitato nel tempo; occorre fissare dei limiti e assicurare una transizione rapida verso meccanismi di sicurezza alimentare che abbiano caratteristiche strutturali».

Ed è questo il punto dolente. L?agricoltura dei Paesi in via di sviluppo è stata la grande trascurata dalle politiche di cooperazione. In un rapporto adottato nel 2007, la Banca mondiale ha fatto il suo ?mea culpa?, riconoscendo la necessità di riorientare i finanziamenti verso l?agricoltura. La stessa cosa ha fatto la Commissione europea, che ha deciso di riammettere lo sviluppo rurale nel suo piano d?aiuto ai Paesi africani, caraibici e del Pacifico per il periodo 2008-2013.

«Sostenere una politica agricola coerente, creare delle filiere: tutto ciò è stato trascurato per una trentina d?anni», riconosce un esperto della Commissione, il quale ricorda che l?aiuto concesso dall?Ue all?agricoltura in precedenza rappresentava il 20% del budget totale per lo sviluppo, contro il 3,4% attuale.

Bandire i sussidi?Ed è da una trentina d?anni che l?Unione europea e gli Stati Uniti inondano i Paesi in via di sviluppo con i loro prodotti agricoli, largamente sostenuti dai sussidi, contribuendo all?affondamento della classe contadina locale e, di riflesso, all?attuale crisi alimentare. È necessario dunque sopprimere i sussidi all?agricoltura?

«No», insorgono le organizzazioni come la Roppa (la Rete delle organizzazioni contadine e dei produttori agricoli dell?Africa dell?Ovest): reclamano il diritto, per i governi, di intervenire e regolare i mercati per raggiungere la sovranità alimentare. Una rivendicazione ripresa dall?insieme della società civile, riunita in occasione del Summit della Fao sotto l?insegna del Cip, il Comitato internazionale di pianificazione per la sovranità alimentare.

La stessa preoccupazione è all?origine della creazione in Europa della Politica agricola comunitaria, la cosiddetta Pac. Una politica che ha le sue debolezze e le sue stranezze – fra cui la tentazione di scaricare le eccedenze agricole vendendole sotto costo nei mercati dei Paesi terzi – ma che ha avuto il merito di garantire l?autosufficienza alimentare improvvisamente vantata dall?insieme delle nazioni. Sono però state necessarie le sommosse della fame per attirare la loro attenzione.

Una politica agricola mondiale
Da una politica agricola europea a una politica agricola mondiale, il salto è enorme ma alcuni non esitano a farlo. È il caso del Cip, ma anche quello di Matthieu Calame, ingegnere agronomo, esperto della Fondazione Charles Leopold Mayer e autore di La tormenta alimentare. Per una politica agricola mondiale (Edizioni Clm, aprile 2008). Secondo quest?ultimo, «fatta salva la proporzione, sarebbe necessario fare su scala mondiale lo stesso ragionamento che si fa in Europa. Si può immaginare che i Paesi ricchi paghino per avere un mercato libero attingendo alle risorse del mercato non agricolo».

Non si può contestare che le cose siano difficili, riconosce Matthieu Calame, «ma c?è un?alternativa? Al minimo segno di crisi tutti chiudono le frontiere. Abbiamo visto la Thailandia e il Vietnam che si sono rifiutati di esportare il loro riso. Queste reazioni sono portatrici, in nuce, di enormi conflitti. Si deve diffidare di scenari di ripiegamento nazionali o regionali. Quindi, la sola alternativa è la sottoscrizione di accordi internazionali».

Uno scenario seducente a priori. Secondo Jean Ziegler, già relatore speciale per il diritto all?alimentazione per le Nazioni unite, i capi di Stato mondiali non sono riusciti a regolare due problemi di fondo: i sussidi ai biocarburanti e la speculazione in Borsa sulle materie prime.

Due fenomeni che Matthieu Calame definisce «malattie di crescita» rispetto alla crisi attuale. Due malattie che dovrebbero sparire una volta creata un?autentica organizzazione agricola mondiale.Marie-Martine Buckens è giornalista belga. È considerata una dei maggiori esperti di ambiente, energia e sicurezza alimentare


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